
Richard Avedon (1923-2004) è uno dei rari fotografi a cui ci si riferisce usando solo il cognome. In una carriera lunga 60 anni il suo sguardo diretto e intransigente ha registrato di tutto, dal movimento Usa per i diritti civili e il Vietnam alla haute couture di Dior e Versace.
Eppure la sua fotografia pubblicitaria è meno conosciuta. Il nuovo libro Avedon Advertising (Abrams), progettato da Graphic Thought Facility e stampato da VeronaLibri su Symbol Matt Plus, si articola in sei capitoli che corrispondono alle fasi-chiave del suo lavoro pubblicitario. Curato dai direttori della Richard Avedon Foundation – Laura Avedon, nuora del fotografo, e James Martin – il libro contiene testi di Rebecca Arnold (Courtauld Institute of Art) e puntuali riflessioni sull’eredità pubblicitaria di Avedon.
Per i lettori che conoscono bene i ritratti di Avedon, la portata e il volume del suo lavoro pubblicitario può risultare sorprendente. Parecchi dei suoi primi lavori sono andati persi, ma ne sono rimasti abbastanza per testimoniare l’ampiezza delle sue collaborazioni. Mentre sviluppava le proprie capacità creative, col suo lavoro Avedon ha mappato il paesaggio della pubblicità e della società Usa attraversando tutta la seconda metà del Novecento.
Il lavoro pubblicitario non è stata una fase: Avedon ha accettato lavori su committenza ogni anno, dal 1944 al 2004. In senso creativo è riuscito a mettere a punto nuove tecniche. Commercialmente ha fatto uso delle sue entrate per finanziare i progetti personali, che in quanto tali non portavano grandi guadagni. Il lavoro pubblicitario gli ha anche permesso di produrre altri lavori. Il lavoro per DuPont, dal 1962 al 1964, gli è servito a finanziare la pubblicazione del libro sui diritti civili del 1964, Nothing Personal, firmato insieme all’amico di vecchia data James Baldwin.
Certi lavori si fanno notare. Due pezzi, a distanza di 50 anni, illustrano la sua notevole abilità nel gestire le modelle. Il suo ritratto di Wendy Burden del 1947 per il grande magazzino del lusso Bergdorf Goodman ha quello sguardo diretto e connesso che Avedon riteneva fosse indispensabile. E il suo ritratto di Kate Moss per il profumo CK be di Calvin Klein, scattato nel 1996, condivide quello stesso meravigliosamente spontaneo senso del momento.
Quando i clienti lasciano che Avedon faccia Avedon, il lavoro funziona. Era una persona che lavorava duro ed era affidabile, c’erano modelle che firmavano il loro contratto a condizione che Avedon fosse il fotografo. Nell’arco di sei decenni il suo lavoro ha seguito percorsi interessanti. Accanto ai favolosamente stravaganti editoriali di moda per Dior e Harper’s Bazaar ci sono le dinamiche immagini in bianco e nero della campagna per Danskin, ditta di articoli da ballo. Man mano che la sua fama cresceva, la sua influenza andava oltre l’uso della macchina fotografica. Il suo ruolo centrale nella costruzione del brand Versace, ben testimoniato nel suo photobook del 1998 The Naked & The Dressed, è qui brevemente descritto. Lavorando con Giovanni Versace fin dalla fondazione del marchio, Avedon ha contribuito a definire un linguaggio visivo per una casa di moda quasi senza uguali o comunque costruita su una coerente relazione creativa senza rivali.
C’è un’immagine particolarmente potente, a una prima occhiata non legata alla pubblicità commissionata: un ritratto di sua sorella più giovane, Louise Avedon, scattato nel 1945. È una delle poche immagini che suggeriscono la sua precoce ricerca di una cifra visiva inconfondibile. Nell’immagine Avedon guarda in alto verso Louise, che ha le spalle rivolte all’obiettivo. Lei guarda da sopra la sua spalla mentre la brezza le muove il soprabito. In questa foto ci sono temi che ricorrono spesso nella parte più efficace del suo lavoro: un momento di connessione spontanea, un’impressionante combinazione di abito e sguardo. Ci porta il più vicino possibile ad intravedere il processo mentale di Avedon. Il libro – che altrimenti avrebbe mostrato perlopiù lavori finiti – è migliore grazie a questa scelta narrativa.