Il ragioniere trevigiano Nando Salce (1878–1962) era l’erede di una dinastia di commercianti di tessuti: spinto da una vera e propria mania e guidato dagli scritti del critico italiano Vittorio Pica, mise insieme una spettacolare collezione di circa 25’000 manifesti, raccolti insieme a sua moglie Gina Gregorj, la cui famiglia era proprietaria di una fiorente manifattura artistica di ceramiche. I pezzi della collezione rappresentano tutti i campi di applicazione dei manifesti e coprono il periodo dal 1844 – gli albori della cromolitografia – fino al declino della cartellonistica italiana, soppiantata dalla pubblicità televisiva: non solo manifesti italiani, ma anche di autori italiani all’estero – come Leonetto Cappiello – o di autori stranieri in Italia – come Xanti Schawinsky e tanti altri.
Alla sua morte, Nando Salce volle legare allo Stato un lascito rimasto a lungo – letteralmente – in soffitta, e infine restaurato, catalogato, ampliato con ulteriori donazioni di altri 20’000 manifesti: da maggio 2017 è visitabile a Treviso nel complesso della chiesa di San Gaetano.
Nella sua sede attuale, la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT), nota come riforma Franceschini, ha dato alla collezione Salce lo statuto di museo: il Museo Nazionale Collezione Salce presenta mostre temporanee della durata di massimo quattro mesi (per motivi di conservazione), facendo accurate selezioni tematiche dei propri materiali. La missione del museo è ovviamente la conservazione e la tutela dei manifesti, ma soprattutto favorire “studio e conoscenza di studenti, praticanti e amatori delle arti grafiche”, come scrisse Nando Salce nel proprio testamento.
La peculiarità della sede attuale ha richiesto non poche soluzioni innovative per permettere l’esposizione della collezione: i soffitti bassi e la presenza di affreschi tutelati ha obbligato la direttrice della collezione, Marta Mazza, a commissionare un allestimento innovativo a Ku Studio (Francesco Zambello e Andrea Farinati): una “palizzata” di legno, flessibile e curvilinea, che si oppone alla rigidità dello spazio. Su queste superfici semitrasparenti, i manifesti vengono esposti – dove possibile – senza protezioni, fissati con calamite a fermagli in metallo, per permettere ai visitatori di osservarli “in purezza”, come si presentavano in strada agli occhi dei passanti.