Il graphic designer milanese Giancarlo Iliprandi è un camaleonte fra i professionisti italiani della sua generazione. Nato nel 1925, ha seguito molte strade da quando è diventato maggiorenne appena dopo la Seconda Guerra: dagli studi di medicina è passato a quelli di belle arti e infine ha scelto design, mentre coltivava in segreto l’ambizione di essere uno scrittore. In una carriera che si estende per sette decenni il suo approccio e il suo stile sono cambiati radicalmente e improvvisamente, come è accaduto anche al jazzista Miles Davis, un quasi contemporaneo di cui ammira la musica. Il suo portfolio – ora pubblicato in *Note (Ulrico Hoepli editore), un volume di 272 pagine stampato su Arcoprint 1 EW 140 g/m2 e Symbol Matt 300 g/m2 per la copertina – comprende creazioni manuali, progettazione al servizio delle idee, tipografia, grafica pop d’impatto, illustrazione al tratto, direzione artistica per l’editoria e suggestivi reportage ad acquerello.
Nella conversazione Iliprandi mostra una mente acuta e un approccio entusiastico per ogni cosa che incontra, e idee chiare sul mondo della didattica del design, l’argomento che ha inaugurato la nostra chiacchierata l’estate scorsa in occasione di “Made in Italy”, la mostra di Fedrigoni a Londra. (La mostra, molto ben accolta, si sposterà presto in Scozia e altrove). Ho chiesto a Iliprandi del suo discorso del 1991 (ristampato in *Note) per l’International Council of Graphic Design Associations (Icograda), nel quale ha delineato le qualità essenziali del design affermando che doveva essere “formale, innovativo, funzionale”, ma che ciò non era abbastanza; doveva essere anche “culturale, etico, e istruttivo”.
Iliprandi ribadisce le sue convinzioni. “Un buon servizio non è abbastanza. Il design dovrebbe essere qualcosa che rende la vita migliore, non solo qualcosa di facile da comprare e consumare.”
Tuttora l’opera di Iliprandi non è difficile da godere e apprezzare. Il suo lavoro degli anni Cinquanta e Sessanta – copertine di libri e LP, manifesti e mostre – riflette il gusto estetico del Modernismo milanese con giocosità e praticità. Come molti dei suoi contemporanei, era sostanzialmente un autodidatta e la necessità gli ha insegnato a piegare ogni volta che serviva la sua mano a diverse abilità: illustrazione, disegno di lettere, collage e architettura.