Viviamo in un mondo in cui la tipografia viene presa molto seriamente. Sui nostri computer abbiamo dozzine di font tra cui scegliere e siamo pronti a bearci della scelta del carattere per un cv o un invito; abbiamo le nostre convinzioni sul Comic Sans e siamo capaci di guardarci un intero documentario sull’Helvetica.
Nel 1740, quando nacque Giambattista Bodoni, la tipografia – la stampa a caratteri mobili composti a mano – era trattata come cosa di poca importanza. Se gli stampatori erano ammirati non era per la composizione del testo ma per lo stile dei fregi o delle illustrazioni che lo accompagnavano. Bodoni fu uno degli stampatori che cambiarono questo stato di cose, insieme all’inglese John Baskerville a Birmingham e ai Didot a Parigi. Una pagina di solo testo stampata con le loro eleganti font su carta di eccellente qualità può apparire di una bellezza indicibile. E loro sono riusciti a dare nuovo prestigio alla stampa. Bodoni era una celebrità già da vivo, noto in tutta l’Europa. Dal momento della sua morte è stato venerato (e talvolta vituperato) da stampatori e designer.
Bodoni nacque da una famiglia di stampatori di Saluzzo, in Piemonte. A diciott’anni andò a Roma dove trovò un lavoro presso Propaganda Fide, l’ufficio vaticano preposto alla diffusione della fede all’estero. Fu così che il giovane Bodoni si trovò a stampare con alfabeti copti e tibetani. A 28 anni si ammalò mentre si preparava a partire per incontrare Baskerville in Inghilterra. Coincidenza fortunata: l’offerta di dirigere la stamperia ufficiale del Ducato di Parma lo raggiunse a casa. Accettò e rimase a Parma per il resto della sua vita.
Il suo ruolo – stampare leggi e note ufficiali – lo metteva a stretto contatto con il governo, ma aveva relazioni con circoli letterari, artistici ed ecclesiastici e veniva celebrato per le sue impareggiabili edizioni dei classici, come per esempio l’Iliade. Nel suo tempo libero incideva caratteri in modo compulsivo. Un punzone usato per fare gli stampi per i caratteri in piombo richiede ore di incisione e Bodoni se n’è lasciati alle spalle più di 25.000. Lavorava anche alla sua grande opera, il Manuale Tipografico, un enorme compendio di caratteri di corpi, pesi e stili diversi (tondo, corsivo, ecc.). Non potè finirlo, ma la sua vedova riuscì a pubblicarlo pochi anni dopo la sua morte.
Bodoni fu il maestro di quel genere di caratteri chiamati anche oggi “moderni” per distinguerli dai vecchi caratteri che imitavano la scrittura a mano: lettere con spessi tratti verticali in netto contrasto con i tratti orizzontali molto fini e dotati di grazie piatte e sottili. Anche se sembra perfetto per catturare l’attenzione, per i titoli, i frontespizi o i manifesti, nelle colonne di testo i moderni possono risultare difficili da leggere finendo per confondere il lettore. William Morris, disegnatore e stampatore dell’Ottocento, lamentava “l’orrore soffocante della lettera bodoniana, il tipo più illeggibile che sia mai stato inciso”. Bodoni è stato criticato, anche in vita, per una certa sciatteria: le sue edizioni potevano anche essere bellissime ma erano piene di refusi.
Tuttavia divenne famoso come pochi altri stampatori. La sua era un’epoca in cui i libri stampati iniziavano a diffondersi ed era questione di prestigio possederli ed esibire la propria biblioteca. Altre amministrazioni e reggenti cercarono di convincere Bodoni a lasciare Parma. Gli aristocratici impegnati nel Grand Tour gli facevano visita nel suo studio per vedere e comprare le sue opere; Napoleone visitò Parma e chiese di lui (ma quel giorno era bloccato a casa con la gotta); l’imperatrice Giuseppina Bonaparte visitò Parma, parlò con Bodoni e si portò via un po’ di volumi. La sua influenza si sente ancora: il 2013, anno del bicentenario della sua morte, ha visto fiorire in suo onore diverse mostre e il progetto “Compulsive Bodoni”, destinato a creare una versione digitale completa dei caratteri del Manuale Tipografico. E imitazioni del suo stile abbondano ovunque: nelle riviste di moda, sulle copertine degli album dei Nirvana e sui poster per Mamma Mia.