Ricordate quando la stilista giapponese Rei Kawakubo fece il suo debutto nel mondo dei profumi? Nel 1994, mentre i grandi colossi della profumeria guadagnavano dando in licenza le proprie formule a qualsivoglia celebrità o designer, Kawakubo decise di sostituire le note agrumate – tipiche dei profumi da giorno – con chiodi di garofano, spezie e resine. Decise, poi, di racchiudere la nuova fragranza in una boccetta di vetro trasparente a forma di ciottolo levigato (ideata da Marc Atlan), di sigillarla sottovuoto in plastica e di confezionarla in una scatola bianca che riportava solo il logo in sans serif, l’elenco degli ingredienti, il codice a barre e il simbolo del riciclo.
Il risultato – Eau de Parfum – nome alquanto ordinario per Comme des Garçons – si è rivelato un vero e proprio esercizio di stile industrial chic. Ma non è stata la prima esperienza di questo genere. Settantatre anni prima, nel 1921, Coco Chanel era già abbastanza esperta da sapere che “l’opposto del lusso non è la povertà” e neppure “la semplicità” (come spiegò al fotografo Cecil Beaton nel 1966). Coerente con questa visione, per il suo profumo – il primo creato utilizzando ingredienti sintetici – decise di prendere spunto dal linguaggio visivo dell’età delle macchine di Le Corbusier. Decise di identificarlo con un numero, e non con un nome, come se fosse appena stato prodotto da una catena di montaggio. Da allora, il design della bottiglia a forma di cubo che ricorda quelle delle farmacie del passato, con la caratteristica etichetta bianca e il brand in sans serif nero al centro, è cambiato di poco. Chanel N° 5 continua ad essere un punto di riferimento di stile.
A distanza di un secolo, il cartoncino non decorato e il sans serif, spesso – anche se non sempre – collocato al centro della confezione e in lettere maiuscole, hanno dato vita a un’intera categoria di prodotti. Questo gruppo di brand di profumi contemporanei fa leva su un linguaggio visivo e materiale sobrio per veicolare un ritorno alle radici artigianali della profumeria. Un esempio è Ben Gorham che, nel 2006, dopo gli studi presso la scuola d’arte di Stoccolma, ha lanciato il brand Byredo – nome che si rifà alla parola inglese “redolence” dal duplice significato di fragranza e rievocazione. La sua ambizione era ricongiungere il senso dell’olfatto al potere evocativo della memoria, in una linea di profumi racchiusi in una bottiglietta di vetro cilindrica, compatta e ipermoderna dall’etichetta bianca con font sans nero.
Sarebbe facile attribuire questo approccio minimal al packaging design alla sensibilità attuale nei confronti dell’ambiente. Ma la sostenibilità è solo una parte della storia. Influenze classiche, pretese di un lusso discreto e riferimenti prosaici a parte, ci sono altri fattori che entrano in gioco nell’universo narrativo del design di questi brand. Il mondo del make-up – e, per estensione, anche il packaging utilizzato – tende ad adeguarsi ai canoni in continua evoluzione della bellezza. La tipografia funzionalista sans sarif è particolarmente adatta a comunicare i brand della cosmetica pubblicizzati da medici o presentati alla stregua di medicinali che abbiamo visto esplodere negli ultimi cinque anni.
L’uso di un font generico e l’accentuata materialità risultano, inoltre, essere particolarmente adatti a una nuova generazione di consumatori che preferisce scegliere il proprio stile in autonomia piuttosto che sentirsi dire come farlo. Basta dare un’occhiata alla pagina di Glossier, “l’unicorno” della cosmetica lanciato dalla beauty blogger americana Emily Weiss per la generazione Instagram. Con un modello di business concepito per essere completamente online e direct-to-consumer, Glossier sfrutta i social per costruire il brand in maniera attiva con i propri clienti, anziché farlo da una posizione di autorità. Il brand incoraggia l’espressione personale e, per questo, sta al make-up come la street photography sta a un articolo della rivista Vogue. Ciononostante, i prodotti al centro del mondo Glossier sono tutto fuorché scontati: sono, infatti, in grado di materializzare il paradigma di bellezza del XXI secolo, più indulgente di quelli del passato, ma anche più esigente. Un ideale che si traduce in un “make-up non-make-up”: cosmetici da applicare, fingendo di non averlo fatto, per risaltare una bellezza naturale e sottolineare quello che è già presente. Lo stesso si potrebbe dire di questa nuova generazione di packaging.
“Un profumo lento”– Hibiscus Mahajád
“Semplice ma sofisticato”– The Seated Queen
“Lo scrigno delle delizie”– Urbani Tartufi
“Bellezza in numeri”– 8950“
“Natura umana” – Equality
“Sfumature di neutro” – Massimo Dutti
“Decisamente alla moda” – Brooklyn Soap Company